Orrore e bellezza, gli occhi sulla nostra epoca

Orrore e bellezza, questo ho visto, questo ho provato guardando scorrere il film.

Finché l’inquinamento, il cambiamento del clima e l’uso selvaggio delle risorse ambientali non diventano questioni di cuore, la rotta non s’inverte. E i risultati restano poco più che discorsi.

Dopo aver visto “Antropocène”, sono uscita dal cinema con una convinzione: finché non troviamo una spinta emozionale, di cuore appunto, e sentiamo la necessità di soddisfare almeno un bisogno, la questione del delirio ambientale della nostra epoca non cambia. Zero, nulla.

Che c’azzecca questo con la grande economia, con gli interessi stramilionari di mezzo mondo, con i consumi e i progressi? Che c’azzecca con il comportamento di noi umani belli, che sereni e scontenti viviamo nella follia dell’assurdo?

C’entra, c’entra.

 

“Antropocène” è un film da vedere.

Perché? Racconta cosa diamine riusciamo a combinare, noi donne e uomini, in tutte le parti del pianeta. Facendo cosa? Vivendo.

Clima, ambiente, risorse naturali, inquinamento: guardi il film e improvvisamente smettono di essere parole lontane. Cominciano a salire sulle gambe, stanno sulla poltroncina, accanto come una borsa, davanti agli occhi, sul maxischermo.

I film come “Antropocène” devono darsi da fare per andare dalla gente, sono le chicche che vanno alle nicchie, ad alcuni attenti e appassionati, a cinefili irriducibili che vanno a vedere film di qualsiasi genere.

Eppure non è un film che si dimentica.

 

Sono andata al cinema catturata dall’argomento – ambiente, risorse naturali, clima – e da altre due ragioni: c’è un pezzo di Toscana accanto a mondi lontani come la Russia o il Canada e poi c’è l’attrice Alba Rorhwacher che dà voce al commento della versione italiana del film.

“Antropocène” mi ha tenuta con lo sguardo acceso dall’inizio alla fine. Si è scelto di raccontare il rapporto tra il pianeta e il tempo, il significato dell’era geologica che stiamo vivendo e che in questo documentario è chiamata “L’epoca umana”.

Prendiamo la linea del tempo e proviamo a mettere in ordine i grandi tempi geologici come gli studiosi ci hanno insegnato: siamo partiti con l’era paleozoica, poi la mesozoica e la più recente cenozoica. Quella di oggi è appunto l’antropocène, il momento degli umani e del nostro grande inarrestabile lavoro di distruzione del pianeta. Guardando la nostra terra come un mondo fatto di specifiche caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, non possiamo che ammettere la folle corsa alla distruzione di quasi tutto.

Avete presente il piccone che spesso nominiamo per dire di azioni intenzionalmente distruttive (il piccone non si muove da solo!)? Ecco, no, non basta. Quello che stiamo facendo alla terra non va al ritmo di un piccone, pure ben appuntito e pesante. E’ più simile a un lavoro meccanico dotato di grande forza propulsiva che ahinoi funziona al contrario, non per spingere ma per succhiare, impoverire, annientare.

 

Sono uscita dalla sala e mi sono sentita il mondo addosso. E’ pesante, indubbiamente.

Eppure tira fuori una forza inaspettata, imprevista, che fa scattare la voglia di raccontare, spiegare, andare ad approfondire, fare passaparola.

La consapevolezza lascia tracce e innesca nelle donne e negli uomini la volontà di darsi da fare. Ciascuno nei propri ambiti di conoscenza, nelle proprie frequentazioni.

Sono tornata a casa e ne ho parlato con i figli. Tutti e tre, ciascuno per la propria età, hanno le orecchie pronte sull’argomento. I bimbi e i ragazzini vengono su con un terreno fertile di coscienza ambientale, le recenti manifestazioni studentesche lo confermano. Ecco la spinta di cuore di cui dicevo all’inizio, la necessità di soddisfare almeno un bisogno. Sono convinta di dover mettere la faccenda della salvaguardia ambientale tra i bisogni che un genitore deve soddisfare.

Andiamo!

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