Il linguaggio toscano è pure rispettoso e snello

Parlare con qualcuno e raccontare un po’ di tutto senza essere troppo invadenti o prolissi: è questa l’essenza del modo di dire toscano E compagnia bella.
Ed è pure lo spirito di questa rubrica che si apre nel mio spazio web: il piacere di raccontare un fatto accaduto, condividere un pensiero, riportare quello che curiosità e sguardo hanno catturato in giro evitando zavorre di parole, appesantimenti che spengono la lettura.
E compagnia bella si traduce con “eccetera eccetera”, oppure “e via dicendo”, “e così via”. Quando si usa questa espressione si sottintende che su un certo argomento ci sia molto altro da dire e che per abbreviare il discorso o non annoiare chi ci sta ascoltando ci sia bisogno di sintetizzare. E compagnia bella va bene anche quando l’elenco da far seguire – nomi, cose, persone… – sarebbe troppo lungo da dire e noioso da sentire.

E compagnia bella è un modo di dire smart che il linguaggio toscano ci regala. Coloro che non sono nati nella mia regione probabilmente ne attribuiscono la paternità a Salinger, l’autore de “Il giovane Holden”, non tanto perché lui dall’America sapesse qualcosa di casa nostra piuttosto per esigenze di traduzione. Nella versione italiana del romanzo si è cercato un modo alternativo ai vari “e tutto il resto”, “e via discorrendo”, “e tutto quanto” per dire “and all” che Salinger ha sparso per tutto il testo.

Scrivendo qui e intitolando la rubrica “E compagnia bella” non interpreto la traduzione letterale del modo di dire, ne afferro invece l’essenza intrinseca, l’intenzione non detta e un desiderio comune: raccontami, dimmi tutto, fammi leggere ma non mi sfiancare.
Diciamoci cose con piacevolezza, happyness allargandosi un po’.
Ecco perché scrivo E compagnia bella: faccio la mia strada con gli occhi aperti offrendo argomenti, persone e storie.

Vi aspetto anche qui.

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